In realtà l’umano è sempre lo stesso: meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Intervista a Davide Quadrio, critico e curatore

In realtà l’umano è sempre lo stesso: meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Intervista a Davide Quadrio, critico e curatore

Davide, quello in Cina non è stato un viaggio turistico, ma un percorso libero e intraprendente alla scoperta di nuovi talenti ed espressioni artistiche, proprio in un momento e in un luogo in cui non esisteva nulla a livello di forme d’arte indipendenti e underground. Un lavoro quasi da critico d’altri tempi. Ci racconti brevemente da dove nasce la passione per l’arte orientale e cosa ti ha fatto scoprire?

Ricordo distintamente alcune esperienze di incontro con l’arte asiatica su riviste quali Airone (un articolo sul Bon tibetano), Archeologia con uno speciale di arte indiana e poi un articolo emozionante sul Buto (non ricordo su quale rivista).

Ecco da questi tre episodi ancora profondamente ancorati nella mia memoria, posso dire che si è acceso qualcosa. Avevo 14 anni, in un paesino bigotto del varesotto (con rima) e da lì mi sono immaginato steppe, e monasteri, e magia. Tra archeologia e innovazione. E il mio percorso è stato proprio quello. Una tesi sull’architettura tibetana nell’Amdo e poi nell’urbana Shanghai un percorso intenso di costruzione di un progetto artistico collettivo, visionario, radicale e pazzo: Bizart per 12 anni è cresciuta da spazio underground a luogo rizomico e catalizzante per i giovani artisti cinesi e non solo, luogo di produzione artistica e di radicalismi.

Un’avventura che descrivo in tutte le sue complessità e liberté’ nella trilogia dedicata a questa mia avventura e pubblicata da Mousse nel 2018.

Italia e Cina, due paesi diversissimi, ma entrambi con profonde radici culturali ben radicate. Che analogie hai trovato tra questi due mondi? Artisticamente sono realtà che possono dialogare tra di loro? Se sì, come?

I luoghi sono radici. Si pensa sempre che luoghi distanti abbiano analogie per rassicurarci, per capire e giustificare un altro modo di essere. Dirsi si è simili per sembrare meno razzisti.

In realtà l’umano è sempre lo stesso: meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Partire per un altro continente culturale (e non paese) come la Cina ti stravolge profondamente, ti rende antropologicamente un altro.

Ovviamente se abbracci il rischio, se ti getti nel vuoto con curiosità e sensibilità il risultato è una nuova identità, quella che Rosi Braidotti definì come nuova identità nomade: accumulata, a strati, possente e pur flessibile che ti lascia dentro e fuori e che ti permette di espandere il proprio io dissolvendolo in rivoli gorgheggianti.

È come se il nomade diventasse il traduttore, il plug-in che trasmette, traduce, adatta e ricompone. Credo che nella mia vita il lavoro svolto tra Cina e resto del mondo (non solo Italia) sia stato proprio questo, incontrando e stabilendo rapporti solidi con altri nomadi (di pensiero e di cuore, non viaggiatori per se: il vero nomade scompiglia le carte ma resta nei posti, vi si confonde, membrana permeabile e vigile sguardo) e creando una rete invisibile ma forte, di sostanza, di parola, di cuore.

Nel bene e, più spesso, nel male si parla molto di Cina oggi (dalla provenienza del Covid alle intenzioni geopolitiche, ecc.). In quanto “ponte” tra questi due mondi come ti poni? Che ruolo credi di poter interpretare nei prossimi anni?

Mi pongo come ho descritto prima: Shanghai è stata la mia casa, il luogo dove mi sono costruito una professione dal nulla, dove ho cresciuto le mie figlie.

Una città che ho visto crescere da 9 milioni di abitanti a oltre 25. Ho sempre avuto una posizione privilegiata per questo e progressivamente sono stato sempre più percepito come un asset nel panorama artistico culturale a Shanghai e in Cina. Da due anni rientrato in Italia, anche se praticamente sono sempre in viaggio in Oriente, mi sono reso conto della distanza che l’Italia e l’Europa hanno rispetto alla Cina, della diffidenza e del pregiudizio.

D’altro canto, la Cina e la sua forza nel bene e nel male stanno cambiando la geopolitica internazionale e questo è un fatto. Mi intriga ovviamente capire cosa potrei fare in questa fase e alcune idee stavano prendendo forma. Ora temo che il post covid sarà particolarmente violento nella ripercussione che avrà anche sul possibile lavoro di diplomazia culturale e di attività cross culturali future.

Guardando il tuo percorso emerge il tentativo di portare l’arte fuori dai musei e dai circuiti tradizionali.  Come ti immagini l’arte di domani?

L’arte di domani la vedo un’arte che spinge i limiti del presente globale. Avrà, spero, la forza di creare nuove narrative, al di là dell’immaginario capitalista presente che sembra insormontabile e soprattutto imprescindibile. Il covid, prima vera crisi globale dall’ultima guerra mondiale, è un’opportunità incredibile per farci riflettere sulla potenza creativa dell’individuo nella sua località, nel suo piccolo mondo di relazioni e nello stesso tempo, grazie alla rivoluzione copernicana delle nuove tecnologie, aperto all’ultra-mondo digitale.

Vedo chiaramente come l’arte sarà l’esperienza vera, tattile, sensuale e quasi meditativa in un mondo che proietta la stessa esperienza nel virtual-digitale di sostanza. La sfida sarà proprio questa: mantenere l’esperienza artistica vera (di contenuto e non oggetto di comunicazione) e nello stesso tempo sublimarla attraverso il digitale come mezzo e non come fine della creativa’ stessa.

 


 

Dopo aver fondato e diretto, tra il 1998 e il 2010, il BizArt Center, il primo laboratorio artistico/creativo senza scopo di lucro a Shanghai (dove ha vissuto dal 1994 al 2017) nel 2007 Davide Quadrio crea Arthub Asia, una piattaforma dedicata alla produzione e promozione dell’arte contemporanea, in Asia e nel mondo.

Nell’ambito di queste esperienze ha realizzato numerose mostre, progetti educativi e scambi culturali, incoraggiando le relazioni tra le istituzioni del mondo. Il lavoro con BizArt è valso l’inclusione, come progetto speciale di Arte e Cina, al Theatre of the World tenutosi al Guggenheim di New York, 2017. Dal 2005 al 2008 è stato direttore artistico dello spazio creativo Bund18 a Shanghai, dove ha curato l’edizione cinese della mostra dedicata a Vivienne Westwood dal Victoria & Albert Museum e quella itinerante di Droog Design (Shanghai, Shenzhen, Pechino), nonché la mostra personale di Olivo Barbieri durante la Biennale di Shanghai, l’istituzione per la quale nel 2012 ha coordinato il progetto “City Pavilions”.

Tra le sue iniziative più recenti: I viaggi retrospettivi senza arrivi di Qiu Zhijie (Museo Vanabbe; Centro di arti contemplative di Genova; Kunstalle Lund); la doppia personale di Zhang Enli e Christopher Doyle all’Aurora Museum di Shanghai; la mostra personale di Paola Pivi Tulkus 1898-2018 (Castello di Rivoli; Witte de With; Frac Dijon); la retrospettiva di Yang Fudong per il Toronto Film Festival 2013; la personale di Jompet alla Fondazione Gervasuti di Venezia durante la Biennale di Venezia 2011. Curatore del Museo Aurora di Shanghai dal 2013 al 2016, dal 2015 al 2016, ha curato l’edizione pop-up della rivista Kaleidoscope Asia. Da settembre 2017 risiede a Milano.

Link utili:

Darat Al Funun: VISITING

Visions in the Making Opens at New Delhi


https://www.moussepublishing.com/?product=/shanghai-contemporary-art-archival-project-1998-2012-arthub-china-global-network-2008-2018-aurora-museum-arthub-contemporary-art-within-historical-collection-2013/