Non é di lontananza sociale che abbiamo bisogno, ma di distanziamento fisico – Intervista ad Andrea Anastasio

Non é di lontananza sociale che abbiamo bisogno, ma di distanziamento fisico – Intervista ad Andrea Anastasio

Ciao Andrea, partiamo da te, un filosofo prestato al design, profondo amante del pensiero umano, di arte contemporanea e studioso dell’architettura islamica in india. Inoltre, sei anche un grande conoscitore di tecniche artigianali: dal mondo del vetro e della ceramica a quello dei tessuti. Come ti definisci? Un uomo di pensiero o uno del fare?

Posso dire che, nel tempo, ho compreso che esiste un pensiero che si forma nel fare. Ho amato gli anni di studio universitari, e quelli di ricerca, così come mi ha sempre sedotto la possibilità di costruire, di fare delle cose manualmente.

Queste due dimensioni sono cresciute parallelamente, nutrite da una innata curiosità che mi ha sorretto anche negli anni acerbi, in cui sembrava più difficile poterle mantenere vive entrambi.

Istituto Italiano di Cultura, Nuova Delhi, 2019

In una intervista del 2016 con Domitilla Dardi parli positivamente di crisi e vulnerabilità come valori da difendere. In un momento come questo (coronavirus) in cui le certezze moderne sono crollate di colpo, come l’arte e il design possono essere d’aiuto? Che nuova funzione possono avere?

In quell’intervista parlavo della vulnerabilità come condizione feconda e della crisi come opportunità di ascolto e di cambiamento.

Nel linguaggio comune si tende a far coincidere vulnerabilità con fragilità ma si tratta di due dimensioni molto diverse. La vulnerabilità permette la consapevolezza del cambiamento e, conseguentemente, la possibilità di rispondere alle sfide o a tutto ció che inaspettatamente ci viene incontro, che lo si desideri o no. L’arte e il design sono, innanzitutto, modi di essere nel mondo, di osservarlo e di interagire dialogandoci.

È quindi immaginabile che da questi ambiti possano venir fuori delle proposte risolutive o almeno capaci di rivelare alcuni dei nodi complessi che caratterizzano la contemporaneità.

Per quanto riguarda l’emergenza in cui viviamo oggi, a causa della pandemia, in attesa di soluzioni mediche, il design può contribuire molto ad affrontare le condizioni inedite in cui ci troviamo a vivere, aiutandoci a mantenere vivo il bisogno di socialità pur nel distanziamento fisico.

Non é di lontananza sociale che abbiamo bisogno infatti ma di distanziamento fisico; sembra essere una precisazione linguistica ma in realtà é molto di più, perché questa emergenza lascerà dei segni profondi nel comportamento degli individui e delle collettività e bisognerà essere capaci di immaginare, progettare, realizzare tutto quello che può aiutarci a guarire da processi generatori di isolamento psichico e disfacimento delle collettività.

Foscarini, Stockholm Design Week, 2018

Dodici anni in India, un periodo così lungo avrebbe potuto segnare la fine della tua carriera, eppure non è andata così… ci racconti cosa ti ha riportato nel mondo del design e come sei stato arricchito da questa esperienza?

L’India mi ha permesso di approfondire studi e ricerche che non avrei potuto portare avanti rimanendo in Italia, facendomi porre domande molto precise sulla realtà progettuale, sulla mia possibilità di contribuirvi e su come farlo.

Avevo bisogno di domandarmi quanto profondo fosse il mio desiderio di progettare e quale fosse il mio linguaggio. Posso dire che sono stati anni di messa a fuoco graduale delle tematiche sulle quali incentrare il lavoro e, allo stesso tempo, anni in cui ho imparato molto dalla frequentazione di altre culture artigianali e altre iconografie.

Rientrato in Italia, tutta l’esperienza di quegli anni é divenuta un bagaglio importante dal quale attingere.

Nove viaggi nel tempo, Milano, Palazzo Reale 2018

Parliamo anche un po’ del tuo lavoro più attuale, la dimensione domestica, l’oggetto di uso comune, la collaborazione con le più importanti aziende di design (da Artemide a Foscarini): il tuo lavoro sembra dare molto spazio alla dimensione artigianale e artistica, pur rimanendo nell’alveo dell’industrial design in serie.

Collaborare con aziende di design dalla storia importante é sicuramente uno stimolo speciale. Allo stesso tempo, per me é possibile solo nella misura in cui la collaborazione nasce da un dialogo incentrato sulla sperimentazione e sulla possibilità di informare la produzione seriale di altri processi e con diversi approcci.

Quando progetto per le aziende di design, cerco di portare dentro diverse intuizioni che arricchiscono la funzione di contenuti simbolici, emotivi, linguistici, spesso con l’intento di generare corto-circuiti di senso. In questa direzione, il dialogo tra artigianato e industria é sempre stato parte del mio modo di progettare design, un approccio che si colloca dentro una tradizione profondamente segnata dalle opere di maestri del design italiano, alcuni dei quali ho avuto il dono di avere come amici e mentori.

 


 

Dopo gli studi in filosofia, Andrea Anastasio intraprende un percorso culturale che lo porta a collaborare a progetti di catalogazione dell’architettura islamica in India, ricerche sull’innovazione delle tecniche artigianali tradizionali, collaborazioni con studi di architettura, case editrici e musei. Affascinato dallo studio delle poetiche dell’arte concettuale e delle sue potenziali convergenze con l’industrial design, disegna mobili e oggetti per aziende italiane protagoniste della scena internazionale. La sua ricerca è incentrata sulla manipolazione di oggetti, beni di consumo e materiali domestici, per generare contaminazioni di linguaggi e significati.